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Il culto di Giano venne associato a quello di Quirino; talvolta, detto culto venne indicato con il nome di Giano Geminus. Questo nome fu attribuito al santuario più antico del dio, che si trovava ad infimum Argiletum, a Roma e che conteneva la famosa statua bicipite del dio; divenne celebre per un rito che la tradizione riferiva ad una legge di Numa (Numa ... Ianum ad infimum Argiletum indicem pacis bellique fecit..., Tito Livio I, 19, 2); tale rito consisteva nell’apertura o nella chiusura del tempio, rispettivamente in caso di guerra o di pace. Il rito suddetto ha dato luogo a due versioni: quella più comune presenta Giano come guardiano della Pace, rinchiusa nel suo santuario (Ovidio F. I, 281: “Pace fores obdo, ne qua discedere possit” e Orazio in Ep. lI, 1, 255, esprime il medesimo concetto); l’altra, in contrapposizione, è quella del poeta Virgilio che immagina la Guerra rinchiusa nel tempio, sotto la sorveglianza del dio. Tutte e due le interpretazioni giustificavano gli epiteti di Patulcius e di Clusius attribuiti alla divinità.
Alcune monete di Nerone commemorano la chiusura del tempio di Giano dopo la vittoria di Corbulone. Gli aurei rappresentano in maniera semplice, senza infondere alcuna profondità all’immagine, la facciata rettangolare del tempio con la porta a due battenti, seguendo una frontalità piatta e quasi astratta. Al contrario gli assi, i dupondi e i sesterzi presentano il tempio di Giano visto di prospettiva, rappresentato di tre quarti, con la porta ora volta a destra, ora a sinistra. Le ante, provviste di due grossi anelli, sono divise in tre sezioni. Sono le famose porte di bronzo di cui ci parlano Virgilio e Procopio. Spesso una ghirlanda semicircolare segna l’architrave. Sulla facciata laterale, disposte in maniera visibile a sinistra dell’entrata, altre ghirlande segnano il limite superiore o inferiore di un fregio di viticci fioriti. Al di sopra di questo fregio floreale una sorta di attico reca un elegante decoro di palmette, che corona tutto l’edificio. L’unico cenno che possediamo è quello di Procopio, che ci descrive il tempio, che era tutto di bronzo, di forma quadrata, grande quanto basta per coprire la statua bronzea e bifronte del dio. Tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che tale descrizione si accorda molto bene all’immagine fornita dalle monete.
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